Perché tassi attesi più bassi riducono il costo-opportunità di detenere oro (asset senza cedola), sostengono la domanda e spesso indeboliscono il dollaro, fattore tipicamente favorevole al metallo.
Estate senza tregua: tra inflazione USA, attese sulla Fed e la “falsa partenza” dei dazi sui lingotti, l’oro resta al centro della scena con volatilità elevata.
Nonostante la tradizionale idea di “mercati estivi” più tranquilli, quest’anno i listini sono rimasti in tensione. Dazi, geopolitica e dichiarazioni contrastanti dall’amministrazione USA hanno alimentato movimenti rapidi sull’oro, che continua a confermarsi come bene rifugio.
Il dato chiave è arrivato dal Consumer Price Index di luglio: inflazione headline stimata al 2,7% a/a, mentre la core (al netto di energia e alimentari) è salita al 3,1% dal 2,9% di giugno.
I mercati hanno scelto la lettura “pro-taglio”: attese di riduzione dei tassi a settembre molto elevate, rendimenti Treasury e dollaro in arretramento, supporto per il metallo giallo.
Il dibattito politico ha aumentato il rumore di fondo. Il presidente USA ha intensificato la pressione sul governatore della Fed, mentre il Segretario al Tesoro ha invocato un taglio di 50 bps già a settembre e tassi “più bassi” di 1,5–1,75 punti rispetto ai livelli attuali. L’indipendenza della politica monetaria resta un punto sensibile per la fiducia internazionale nel dollaro.
Un episodio tecnico-doganale ha acceso i prezzi: la classificazione dei lingotti da 1 kg e 100 oz come “semilavorati” li avrebbe resi soggetti a dazi, spingendo i futures Comex a un picco intraday di 3.534 $/oncia. La Casa Bianca ha poi chiarito che non verranno applicati dazi all’oro, innescando un rapido rientro.
In area euro, il rafforzamento dell’EUR ha pesato sulle quotazioni in valuta locale: range indicativo ~91,9–94,0 €/g nella settimana.
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Perché tassi attesi più bassi riducono il costo-opportunità di detenere oro (asset senza cedola), sostengono la domanda e spesso indeboliscono il dollaro, fattore tipicamente favorevole al metallo.
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